Editoriale- Piante Grasse 45:3 (2025)
Editoriale
Normalmente chi coltiva le succulente non riflette sulle implicazioni etiche della sua passione o pensa che esse si limitino all’obbligo di non asportare piante dai loro ambienti naturali e di non acquistare esemplari presumibilmente prelevati in habitat. In realtà esiste un altro ambito, spesso trascurato, nel quale l’amore per le succulente può confliggere con la salvaguardia della natura. Si tratta del contrasto alla diffusione delle specie invasive.
Molti di noi conoscono Kalanchoe daigremontiana o Kalanchoe ×houghtonii, un suo ibrido oggi assai più diffuso della specie madre. Si tratta di membri della famiglia delle Crassulaceae le cui foglie presentano numerose gemme avventizie (i cosiddetti propaguli), che al minimo tocco cadono a terra e danno origine con estrema facilità a nuovi esemplari. K. daigremontiana, non diversamente da specie affini quali K. delagoensis, K. laetivirens e K. rosei, è una succulenta che può dare grandi soddisfazioni se coltivata in modo appropriato, ma al tempo stesso rappresenta una minaccia per l’ambiente in regioni dal clima mite quali la Nuova Zelanda e l’Australia, dove diventa rapidamente una pianta infestante, al punto che in molte località si raccomanda di non acquistarla. Il gelo generalmente è fatale per queste succulente, ma ho notato che un esemplare cresciuto casualmente in un vaso che tengo per tutto l’anno all’esterno, in una posizione riparata dalla pioggia, è sopravvissuto durante gli ultimi due inverni a Brescia. Esiste dunque la possibilità che a causa del riscaldamento climatico e della selezione naturale K. daigremontiana possa diventare una specie invasiva anche nell’Italia settentrionale. Lo stesso vale per Carpobrotus edulis, Crassula muscosa, Opuntia ficus-indica e innumerevoli altre succulente. Come regolarsi in questi casi?
A mio giudizio un divieto di coltivazione avrebbe poco senso, oltre a essere virtualmente inapplicabile, e anche una raccomandazione non sortirebbe gli effetti sperati. È preferibile usare il buon senso e crescere queste piante in modo consapevole, dunque evitando di gettare oltre la staccionata foglie e propaguli, astenendosi dal collocare degli esemplari in prossimità di aree naturali facilmente colonizzabili (quali ad esempio pareti rocciose o zone con macchia mediterranea) e rimuovendo tempestivamente le infiorescenze per scongiurare la dispersione dei semi. Detto questo, occorre altresì ricordare che molte piante ormai entrate a far parte dei nostri paesaggi erano originariamente alloctone: l’ulivo proviene dall’Asia Minore, il melo dal Kazakistan, la vite dal Caucaso. È inevitabile che nei prossimi decenni altre specie, alcune delle quali sicuramente appartenenti alla categoria delle succulente, facciano il loro ingresso nella flora italiana. Il nostro compito è minimizzare i rischi per le specie endemiche coltivando le nostre piante grasse in modo responsabile, senza vane rinunce aprioristiche e senza negligenze facilmente evitabili. Nella consapevolezza che ciascuno di noi è in grado di plasmare l’ambiente che lo circonda, nel bene e nel male.
Marco Cristini








